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La robinia: storia e curiosità

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Nonostante sia molto ben adattata ai boschi europei, al punto da dare quasi l’impressione di esserci sempre stata, la Robinia non è autoctona. Questa pianta infatti è originaria del Nord America, e precisamente di una zona circoscritta dei monti Appalachi, tra Pennsylvania e Georgia. Da qui, non molti secoli fa, è stata introdotta in alcuni giardini botanici di Francia e Italia, per poi diffondersi praticamente in tutto il globo.

E se lei, la robinia, si è già adattata da tempo ai nostri boschi, l’uomo, pur responsabile della sua diffusione, non ha ancora deciso se considerarla una specie utile o dannosa. Per alcuni infatti si tratta di una pianta alloctona e invasiva, che andrebbe contrastata. Altri invece la considerano una specie ormai ben adattata, che sarebbe utile valorizzare: per alcuni tipi di rimboschimenti, per la produzione di legna da ardere e per il miele monoflora che le api ricavano dai suoi fiori: il miele di acacia.

A proposito, un’ altra cosa su cui non ci si è ancora messi ben d’accordo riguardo a quest’albero è il nome, se è vero che in alcuni contesti si preferisce chiamarlo robinia e in altri acacia, nonostante un’ acacia non sia.

L’origine di tale confusione è da rintracciare nella storia stessa dell’importazione della robinia nel vecchio continente, e per indagarla bisogna fare un salto indietro nel tempo fino al 1601. In tale epoca non esistevano ancora gli Stati Uniti, e a dire la verità anche la stessa penetrazione Europea del Nord America era in fase embrionale: il primo insediamento stabile inglese negli attuali USA, Jamestown, è datato 1607, mentre per il primo nucleo di Nuova Amsterdam (quella che sarebbe divenuta New York), si sarebbe dovuto attendere fino al 1613, anno in cui alcuni coloni olandesi acquistarono dai nativi l’isola di Manhattan.

Ma avventurieri, naturalisti, cacciatori di pellicce, missionari e cercatori d’oro compivano già da decenni pericolose spedizioni all’interno di questo continente selvaggio e meraviglioso, ancora “terra nullius”, e spesso tornavano in Europa con un bagaglio di racconti , di pepite d’ oro (poche) e di semi di piante sconosciute.

Tali piante, una volta in patria, finivano poi nelle mani di scienziati e speziali, che le allocavano nei loro orti botanici per studiarle, classificarle e carpirne i segreti.

Nel 1601 appunto, un botanico francese, tale Jean Robin, piantò nel suo giardino il seme di una pianta americana, ricevuto probabilmente da un suo amico inglese, il giardiniere John Tradescant il Vecchio, il cui figlio aveva compiuto un viaggio di esplorazione in quella che oggi è la Virginia. Il seme germogliò: era l’inizio dell’introduzione in Europa della robinia.

Quell’albero, incredibilmente, esiste ancora. Si trova a Parigi, lungo Rue Saint-Julien le Pauvre (per intendersi, a due passi da Notre Dame). Assiste impassibile, da 400 anni, alle vicende della città che lo ha accolto. Era presente – e già vecchiotto – durante la rivoluzione; è stato spettatore della nascita e del tramonto dell’impero napoleonico, della restaurazione, della nascita della repubblica e di due conflitti mondiali. È stato danneggiato durante la guerra ed il tronco è sostenuto con appositi pilastri, ma fiorisce ancora ogni primavera.

All’ epoca di Jean Robin la pianta non si chiamava ancora robinia. La nomenclatura binomiale non era ancora stata codificata e i nomi assegnati alle piante erano spesso confusionari, basati su analogie morfologiche e sulle parziali conoscenze di chi le descriveva piuttosto che su un approccio analitico della filogenesi.

Per qualche motivo dunque, la robinia era stata ascritta al genere acacia, anche se con la acacie ha poco a che fare. Perché? Forse perché le foglie della robinia ricordano quelle di alcune acacie, o forse perché i rami giovani possiedono spine simili. Fatto sta che per tutto il diciassettesimo secolo la pianta fu chiamata acacia, e precisamente Acacia americana Robini.

Quando nel 1738 Linneo visitò Parigi, venne naturalmente portato al cospetto di quell’albero, che già allora aveva più di un secolo. Linneo si rese conto che non si trattava di un’acacia, quanto piuttosto di un genere non ancora descritto, ma nel coniare il nome scientifico volle mantenere il riferimento all’acacia.

Battezzò il genere Robinia, in onore di Jean Robin, e coniò l’epiteto pseudoacacia (“simile all’acacia”, “falsa acacia”): era nato il nome Robinia pseudoacacia, ancora oggi in uso.

LA DIFFUSIONE DELLA ROBINIA

Utilizzata, nei primi decenni dalla sua importazione, come pianta ornamentale, si è via via cominciato ad apprezzarla per altre caratteristiche oltre all’indubbia bellezza estetica. Ad esempio un impulso importante alla diffusione della robinia è arrivato con l’invenzione del treno: le robinie infatti, col loro esteso apparato radicale e grazie alla crescita veloce, si prestavano ottimamente al consolidamento delle scarpate ferroviarie.

Ma è nell’ultimo secolo e mezzo che le robinie hanno realmente conquistato la loro nicchia ecologica nel vecchio continente, colonizzando i terreni e i vigneti che venivano progressivamente abbandonati col passaggio dall’economia agricola di sussistenza a quella industriale: con la loro adattabilità, la loro crescita veloce e la loro capacità pollonifera hanno avuto gioco facile nel battere sul tempo altre specie più pregiate ma a crescita più lenta.

IL LEGNO DI ROBINIA

Il legno di robinia è duro, elastico e particolarmente resistente all’umidità, motivo per cui è ricercato per la paleria e i lavori da esterno.

È largamente utilizzato anche come legna da ardere, poiché ha un potere calorifico elevato e un basso contenuto di umidità anche subito dopo il taglio. Inoltre, crescendo molto in fretta, le robinie sono pronte per subire un nuovo taglio già dopo pochi anni. In seguito al taglio, sia dalla ceppaia che dall’apparato radicale fuoriescono numerosi polloni, che danno vita a nuove piante.

IL MIELE DI ACACIA

I fiori di robinia, riuniti in grandi infiorescenze bianche e pendule, vengono ampiamente bottinati dalle api, che ne ricavano un miele monoflora molto ricercato, di colore chiaro, detto miele di acacia.

LA ROBINIA: PROBLEMA O OPPORTUNITA’?

La robinia ha molti pregi: cresce in fretta, si riproduce facilmente e si adatta bene a diversi tipi di terreno. Ma anche molti difetti: cresce in fretta, si riproduce facilmente e si adatta bene a diversi tipi di terreno. Insomma le stesse caratteristiche che sono positive e ricercate in alcune circostanze, come nei rimboschimenti o nei consolidamenti di terreni scoscesi, si trasformano in problemi in altre, quando ad esempio terreni che ospitavano specie autoctone vengono invasi da queste piante.

Ma quindi la robinia è una pianta da proteggere e valorizzare o un vegetale esotico e invasivo?

Come spesso accade, dipende. E’ indubbio che la robinia abbia sottratto habitat a piante di maggior pregio e interesse forestale, come faggi e querce, e abbia una capacità di riproduzione tale da risultare, in talune circostanze, invasiva. Ma è altrettanto vero che si tratta di una pianta eliofila, che ha bisogno cioè di molto sole per vegetare al meglio. Non è in grado, quindi, di sottrarre terreno ad altri alberi in caso di boschi maturi e in salute. In un bosco di faggi o di castagni adulti ad esempio, le robinie non avrebbero modo di insediarsi. Proprio perché le giovani piante non avrebbero abbastanza luce solare.

Diverso invece è il discorso nel caso di terreni incolti, degradati, sottoposti a disboscamenti selvaggi o abbandonati. In tali circostanze sì, le robinie possono farsi largo in modo invasivo, formando boschi puri e impoverendo il potenziale di biodiversità.

Ma in questo caso, chi è il “colpevole”? La robinia? O l’uomo, che ha impoverito quel dato terreno spazzolando via le specie vegetali presenti e scompaginando l’equilibrio naturale del suolo? La robinia, semplicemente, fa quello per cui la natura l’ha programmata: crescere e riprodursi.

Si consideri inoltre che la robinia ha una spiccata capacità pollonifera (insomma, tagliatene una e c’è il concreto rischio che ne rinascano 5) ma possiede semi relativamente pesanti, che non si disperdono col vento ma rimangono nei pressi della pianta madre. Dunque, se in una zona sono presenti robinie è perché, in un modo o nell’altro, qualcuno in quella zona ce le ha portate di proposito.

Io, personalmente, coi dovuti distinguo, tifo per la robinia. È un albero che mi piace: non si da troppe arie, pur essendo oggettivamente molto bella. Il miele che ne ricavano le api è buonissimo. Dona un’ ottima legna da ardere e una volta tagliata – se posta nelle giuste condizioni – ricresce senza prendersela troppo.

E’ alloctona? Indubbiamente. Ma io, i miei boschi, non riuscirei ad immaginarmeli senza.

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