Skip links

Il Faggio: caratteristiche, curiosità, magia

Share

Ampiamente diffuso in tutto il vecchio continente, il faggio abbonda anche in Italia: sia sulle Alpi, dove i boschi di faggio cedono gradualmente il passo alle conifere che dominano ad altitudini maggiori, che sugli Appennini, dove invece le faggete si spingono spesso fino al limite della vegetazione arborea.

Il faggio (Fagus sylvatica) appartiene alla famiglia delle Fagaceae, come il castagno e la quercia. Ha un portamento estremamente variabile: albero maestoso nelle formazioni ad alto fusto e in condizioni ambientali favorevoli, può tuttavia adattarsi anche ai rocciosi crinali spazzati dal vento, assumendo la forma di un arbusto basso e contorto. Spesso i faggi formano boschi puri, poiché una volta cresciuti, questi alberi creano col fogliame una spessa volta sotto la cui ombra gli altri vegetali non riescono a svilupparsi. Nemmeno le piante del sottobosco, che necessitano di poca luce per prosperare, crescono ai piedi dei faggi, e così il suolo delle faggete risulta tipicamente pulito e pressoché privo di vegetazione; una parziale eccezione a tale regola è il periodo primaverile, durante il quale l’ombra proiettata dalle foglie è meno densa e il terreno delle faggete è spruzzato dai colori delicati delle anemoni.

Come riconoscere il faggio?

Riconoscere un faggio non è complicato. In Estate è facile identificare le foglie: ovali, alterne, con margini ondulati e con nervature parallele e molto accentuate, che le decorano fino quasi a farle somigliare a degli origami. E sono le foglie, nel periodo autunnale, ad accendersi delle mille incredibili sfumature di fuoco che danno vita al fenomeno oggi talvolta noto come “foliage”

Ma anche in inverno, quando distinguere le piante caducifoglie può essere più complesso, il faggio rimane facilmente identificabile grazie al tronco, che si presenta liscio, grigio e, negli esemplari maturi, colonnare e maestoso.

I frutti del faggio: le Faggiole

Il faggio produce dei frutti chiamati faggiole (o faggine in alcuni testi). La faggiola è composta da due acheni di forma vagamente triangolare racchiusi in un pericarpo coriaceo e spinoso.

una faggiola e, per confronto, un riccio di castagna

Come avviene per altre fagacee, e per ragioni non del tutto chiare, la fruttificazione del faggio si verifica in modo molto irregolare: la produzione di faggiole può essere scarsa e quasi assente per diversi anni, a cui fa seguito una stagione di produzione molto abbondante. L’annata di fruttificazione viene chiamata pasciona e si ripete ciclicamente ad intervalli irregolari di 5 – 8 anni.

Il termine “pasciona” (da pascere, pascolare) utilizzato per descrivere queste annate di fruttificazione abbondante rende l’idea di come le faggiole rappresentassero un tempo un gradito regalo del bosco, che permetteva agli animali al pascolo di nutrirsi con frutti particolarmente nutrienti, e presentarsi belli grassi – pasciuti appunto – al sopraggiungere dei rigori invernali.

Seppur destinate principalmente al consumo animale, le faggiole hanno avuto anche una certa importanza per l’alimentazione umana. In passato infatti, una volta private del pericarpo, erano utilizzate per la produzione di un olio (pare di discreta qualità), ma anche per ricavarne farina e persino un succedaneo del caffè.

La liscia corteccia del faggio ha rappresentato uno dei primi supporti per la scrittura, e di questo antico dono del faggio è rimasta traccia nell’etimologia di molte lingue: in inglese la parola book (libro) deriva in modo diretto dal termine beech (faggio), e la stessa cosa accade in tedesco (buch – buche).

Ed è probabilmente per questa funzione di supporto alla scrittura che il faggio, presso diversi popoli antichi, era emblema di saggezza e tradizione, legato all’ atto di trasmettere il sapere e alla conservazione della memoria.

Soffermatevi a pensare cosa potesse significare il faggio nella vita dei primi abitanti del vecchio continente. Il fogliame e i frutti costituivano un ottimo, insostituibile, perenne nutrimento per gli animali. Il suo legno era una fonte di calore, certo, ma anche materia prima per la produzione di ogni genere di utensili. Il legno di faggio infatti può essere tornito facilmente, e poteva essere impiegato per fabbricare praticamente tutti gli oggetti quotidiani che oggi conosciamo come fatti in plastica, metallo e vetro: dalla lavorazione del legno di faggio si ottenevano ad esempio piatti e cucchiai, ma anche mobili e vasi, come descritto nelle Egloghe. Le faggete erano fonte di ombra ma anche di riparo dalle piogge per chi governava il bestiame nei boschi, esposto alle intemperie (il fogliame nelle foreste pure di faggio è così fitto che la pioggia fatica a passare liberamente).

Virgilio, nel celeberrimo incipit delle bucoliche “Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi”, descrive uno dei protagonisti, Titiro, nell’atto di suonare uno strumento musicale seduto all’ombra di un faggio, a simboleggiare una situazione di sicurezza e protezione. Ed è lo stesso Titiro a spiegare al suo interlocutore come tale invidiabile stato di quiete sia stato offerto addirittura da un dio “Meliboee, deus nobis haec otia fecit”.

Ma non è necessario essere dei poeti classici per farsi rapire dalla magia di questo albero. Inoltrarsi in una faggeta pura è un po’ come entrare in una cattedrale gotica. Ci si lascia per un momento alle spalle il fragore della città e si penetra in un ambiente che ci trasporta in un’ altra dimensione, ordinata e raccolta, e ci invita al silenzio e alla meditazione. In un bosco di faggi tutto contribuisce a ricreare la stessa percezione di pace. I tronchi lisci e colonnari sono i pilastri della cattedrale: col loro portamento essenziale infondono una sensazione di ordine e forza. Le foglie, sostenute dalla volta dei rami a decine di metri di altezza, disegnano verdi navate sufficientemente fitte da schermare la luce, facendone filtrare al suolo solo la quantità sufficiente a rapire i nostri sensi, così come farebbero delle vetrate istoriate. A dominare su tutto è il silenzio, poiché lo spesso strato di fogliame al suolo attutisce i rumori facendo risuonare soltanto il fruscio dei passi del viandante, misurandoli e chiedendogliene ragione. Una cattedrale vivente che celebra la maestosità del bosco e della natura.

Return to top of page